Storia

Il “Giulio” ha una lunga storia con molte identità: da “Scuola Tecnica” (1888) a “Scuola complementare”(1925), a “Scuola di avviamento professionale” (1936), ad “Istituto Professionale per il commercio” (1960).

Negli ultimi quarant’anni del ‘900, le trasformazioni economiche, sociali e culturali del Paese hanno ridefinito più volte la natura e la funzione dell’Istituto , che sempre ha saputo inventarsi nuovi modi di essere una scuola per le persone e per il territorio.

L’Istituto è nato su delibera del comune di Torino alla fine del 1886, come “quinta regia scuola tecnica” della città ed ha aperto i suoi corsi nel 1888, con sede in via Goito e successivamente in via Saluzzo.
Con il varo della riforma Gentile, l’Istituto si è trasformato in “Scuola complementare” e, in seguito, nel 1936,  in “Scuola di avviamento professionale”, trasferendo la propria sede in via Giorgio Bidone, dove si trova tuttora (l’edificio è stato distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e successivamente ricostruito).
Nel dopoguerra, con la soppressione delle scuola tecniche nel 1960, il Giulio si è trasformato in “Istituto Professionale per il commercio”.Negli anni seguenti, grande attenzione è stata posta all’evoluzione della formazione professionale e alle sperimentazioni messe in atto dal Ministero della Pubblica Istruzione. L’Istituto ha aderito al Progetto 92 e successivamente al Progetto 2002.

Dall’anno scolastico 1995/96 ai corsi diurni si sono affiancati i corsi serali destinati agli studenti lavoratori.

Dal 2000 il Giulio è sede di un Centro Territoriale Permanente (CTP) per la formazione degli adulti, destinato soprattutto all’alfabetizzazione in lingua italiana degli stranieri.

Con l’anno scolastico 2010/11 è entrata in vigore la riforma della scuola secondaria superiore (riordino dei cicli), che  andrà gradualmente a regime nei cinque anni successivi.

L’Istituto è sede di tre indirizzi di studio, che sono in rapporto di continuità con l’esperienza didattica e organizzativa maturata nel corso della sua storia:

Carlo Ignazio Giulio (1803-1859)

Carlo Ignazio Giulio, a cui la scuola è intitolata, fu un insigne matematico del XIX sec., professore dell’Università di Torino.

Carlo Ignazio Giulio nasce a Torino l’11 agosto del 1803.

“Quand’io nacqui, adunque, il Piemonte era morto”. Così scrive nella sua Autobiografia, ripensando agli anni della sua giovinezza ed al clima politico in cui era cresciuto. Il regno di Sardegna infatti non aveva retto l’urto delle truppe napoleoniche e del nuovo sistema di valori di cui esse erano portatrici, ed il Piemonte, da cuore di uno stato sovrano, si era trasformato in una provincia dell’impero francese, costituendo uno dei sei dipartimenti subalpini in cui era stato riorganizzato da Napoleone il territorio italiano.

Carlo Ignazio Giulio, liberale e patriota, negli anni della sua maturità ricorda con amarezza quella perdita di libertà e di identità della “patria” a cui il suo stesso padre Carlo Stefano aveva contribuito. Carlo Stefano Giulio, medico e professore di formazione illuminista presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Torino, aveva infatti contribuito in modo attivo al crollo dei Savoia ed alla riorganizzazione delle nuove istituzioni politiche, tanto che nel 1804 era stato nominato prefetto del dipartimento della Sesia con sede a Vercelli, dove Carlo Ignazio ha vissuto fino alla morte del padre nel 1813. Anche di questo suo padre “collaborazionista” si rammarica nell’Autobiografia, anche se molte delle idee “giacobine” del padre, pur in forma meno utopica, costituiranno poi il fondamento della sua formazione di uomo e di cittadino.

NeI 1813, morti entrambi i genitori, Carlo Ignazio torna a Torino dove è allevato prima dalla nonna e poi da una zia materna. Appartiene ad una famiglia di intellettuali borghesi, sacerdoti e professori universitari, ed anche il giovane Giulio segue le loro orme. Nel 1820 si iscrive alla facoltà di matematica. E uno studente brillante e sotto la guida del suo professore e maestro Giorgio Bidone fa una rapida carriera universitaria:

  • 1823 – Laurea con esame pubblico di Matematica e Idraulica teorica
  • 1828 – Professore di Meccanica razionale
  • 1838 – Socio dell’Accademia delle Scienze
  • 1844 – Rettore dell’Università di Torino

Come suo padre, però, Giulio non è uno scienziato da Accademia: la sua attenzione è sempre rivolta alle applicazioni della scienza alla vita, per migliorare le condizioni di lavoro degli uomini e per contribuire allo sviluppo della “patria”. Per questo motivo la sua carriera accademica appare marginale rispetto a quella politica e ciò che viene ricordato è soprattutto il ruolo da lui avuto nel non sempre facile processo di trasformazione della società piemontese negli anni cruciali che vanno dal ritorno dei Savoia dall’esilio sardo (1815) al regno di Carlo Alberto (1831-1849) fino alla leadership cavouriana (1850-1861). L’intenso lavoro di quegli anni sarà infatti decisivo per gli sviluppi futuri del Risorgimento italiano.

Carlo Ignazio Giulio è un patriota ma soprattutto quello che oggi si direbbe un “pub1ic servant”, un uomo che mette la sua intelligenza ed il suo lavoro al servizio della società per la realizzazione di un progetto condiviso. E questo spiega la sua estrema versatilità, il suo occuparsi di molti aspetti della vita pubblica: economia, lavoro, finanza, istruzione. Un impegno su molti fronti che può apparire dispersivo, ma che ha una sua giustificazione nello spirito dei tempi. A partire dagli anni trenta dell’ottocento inizia, infatti, una frenetica stagione di riforme: ogni settore dello Stato deve essere rinnovato se il Regno di Sardegna vuole essere all’altezza del ruolo di stato guida nel processo di unificazione degli stati italiani.

Nei primi anni dell’800, il Piemonte è ancora uno stato economicamente arretrato, centrato sui privilegi della proprietà fondiaria, né, d’altronde, la monarchia sabauda della Restaurazione costituisce un ambiente idoneo all’avvio di un processo di Rivoluzione industriale: strada obbligata allora verso la modernità. Nella storia del Regno di Sardegna gli anni che vanno da Carlo Felice (1815) a Vittorio Emanuele I (1831) sono anni bui. Il dominio francese (1800-1815) aveva costituito un’esperienza unica di amministrazione moderna ed efficiente dello stato, in grado di rispondere a bisogni ed esigenze fino ad allora ignorati. La Restaurazione non violenta ma gretta e meschina attuata da Carlo Felice era apparsa subito anacronistica alle forze più dinamiche della società che avevano servito l’amministrazione francese e, per questo, erano state marginalizzate ed ostracizzate dal nuovo regime.

Sul piano economico erano state ripristinate le corporazioni ed i vincoli protezionistici, su quello sociale la nobiltà era tornata ad essere classe privilegiata nell’accesso ai pubblici uffici, sui piano politico infine non era stata fatta nessuna apertura a riforme costituzionali, ritenendosi la monarchia assoluta l’unica forma di governo adatta a gestire un territorio, come quello del regno di Sardegna, linguisticamente, etnicamente, culturalmente composito.

Passato il primo entusiasmo della recuperata libertà, i primi a rimanere delusi furono gli ambienti borghesi che nell’età napoleonica erano stati valorizzati e che avevano visto aumentare il loro prestigio sociale, ma anche la parte più giovane dell’aristocrazia, cresciuta ed educata nelle scuole napoleoniche, viveva con insofferenza il clima della restaurazione. Entrambi furono attratti dalle idee liberali, più o meno radicali, che circolavano allora nelle molte società segrete che a Torino avevano intessuto una rete molto estesa.

I moti del ‘20-’21 e del ‘30-’31 non avevano però prodotto alcun mutamento del sistema ed erano stati repressi duramente. Solo alla morte di Vittorio Emanuele Il e con l’inizio del regno di Carlo Alberto cominciano a notarsi i primi segnali di un’incipiente trasformazione: per quanto tenacemente ostile alle idee liberali e ad ogni ipotesi costituzionalista iL nuovo sovrano apre, nel decennio 1835-1845, una fase di intense riforme tese ad una cauta modernizzazione delle strutture economiche, politiche, sociali e culturali dello stato. In quest’opera di “modernizzazione guidata” delle istituzioni, il sovrano trova la collaborazione di una nuova classe dirigente, costituita in parte da borghesi ed in parte da aristocratici, caratterizzata da idee liberali moderate, da grande competenza tecnica e di profondo rigore morale.

Uno di questi è appunto Carlo Ignazio Giulio che proprio a partire dagli anni quaranta diventa “consulente” di fiducia di Carlo Alberto. Il suo ingresso ufficiale nella politica attiva è del 1840 quando viene chiamato a far parte dell4 Commissione Superiore di Statistica di cui fanno parte anche Cavour, Lamarmora, Eandi, per avviare un’indagine approfondita sulle condizioni delle popolazioni degli stati di terraferma del Regno di Sardegna.
Ma l’aspetto che lo interessa di più e su cui elabora idee decisamente innovative è lo stato dell’economia del paese. Nel 1844 si era tenuta a Torino la 1V Esposizione d’Industria e di Belle Arti al Rea! Valentino. L’esposizione dei manufatti dell’industria e dell’artigianato era un fenomeno diffuso negli stati europei in fase di industrializzazione e costituivano sia una vetrina celebrativa del potere sia l’occasione per fare il punto sulla qualità tecnologica dei prodotti in mostra. L’esposizione del ‘44 appare particolarmente importante per il Piemonte perché con essa Carlo Alberto vuole dare una dimostrazione al mondo di una trasformazione produttiva in atto. Il relatore di quell’esposizione è Giulio che nel 1845 pubblica la relazione “Notizie sulla patria industria”.

Da liberale e liberista Giulio è un convinto assertore dell’importanza del libero mercato e della libera concorrenza nello sviluppo dell’industria nazionale: “Si comprende allora che non si crea con proibizioni né con regolamenti, un’industria atta a lottare con quella dei popoli adulti”. La strada per rendere competitivo un sistema produttivo è per Giulio la scienza potenziando la ricerca e quindi la qualità dell’istruzione: “La superiorità dell’istruzione sulla cieca pratica si  fa manifesta agli occhi di tutti”, scrive ancora nella sua relazione.

È quindi partendo dalle riflessioni sull’arretratezza economica del regno che Carlo Ignazio Giulio finisce per spostare la sua attenzione sullo stato dell’istruzione che ritiene del tutto inadeguato alle esigenze di un mondo che sta cambiando faccia: “Il bisogno, l’ingente bisogno di istruzione si fa sentire da tutte le classi di persone. L’operaio cerca i mezzi d’imparare, il fabbricatore si sforza di procacciarglieli; si formano società, si aprono scuole a spese private…”.

Certo volgendo la sua attenzione al sistema di istruzione piemontese tra gli anni trenta e quaranta dell’ ‘800, deve aver percepito l’impegno titanico che un qualsiasi mutamento in quel settore della vita pubblica avrebbe comportato. Il sistema scolastico napoleonico aveva puntato sulla laicità e sulla statalizzazione dell’istruzione finalizzata essenzialmente alla preparazione di una nuova classe dirigente. Pur mantenendo un impianto generalmente umanistico il liceo napoleonico aveva dato uno spazio rilevante alle discipline scientifiche ed aveva sottratto l’insegnamento agli ordini religiosi.

Con la Restaurazione la scuola piemontese era tornata al vecchio modello delle scuole di latinità previste dal Collegio gesuitico:

  • quattro classi di Grammatica
  • tre classi di umanità e Retorica

La scuola elementare è in parte pubblica ma non necessariamente “popolare” in quanto gli allievi sono tenuti al pagamento di una tassa ritenuta essenziale dalle famiglie per evitare l’accesso ai ceti “indesiderabili” per la cui istruzione sono previste le scuole di carità dell’Opera della Mendicità istruita. Si trattava più che altro di scuole domenicali con funzione di sorveglianza e di contenimento piuttosto che di vera e propria formazione. Gli studi superiori si concentravano tutti nella scuola di latinità che era riservata alla fascia elitaria della popolazione, borghesia e aristocrazia; per chi non vi poteva accedere l’unica alternativa era costituita dalla Scuola Centrale per l’Insegnamento del Disegno di figura, di ornato, di geometria pratica, fondata nel 1805 e mantenuta anche dai Savoia, destinata alla preparazione delle professioni artigianali: orafi, orologiai, ebanisti, fabbri, ecc.

Era un sistema scolastico rigido per una società che si voleva immobile e refrattaria ad ogni forma di mobilità interna. Era anche una scuola culturalmente povera affidata ad una classe di docenti (soprattutto nella fascia elementare) mal preparati e mal pagati, costretti ad insegnare in condizioni precarie, con classi che potevano arrivare a comprendere anche un centinaio di allievi.
Carlo Ignazio Giulio non pensa che questo sistema possa rispondere ai bisogni di istruzione dei tecnici e delle maestranze così necessari allo sviluppo tecnologico del paese e che neppure sia adatto alla formazione della classe dirigente di cui il paese ha bisogno se vuole porsi alla guida di un processo unificatore. Per questo non é sufficiente istruire le élites per un processo globale di rinnovamento, occorre che l’istruzione sia un fenomeno diffuso: “Sarebbe ridicolo pretendere di formare un popolo di dottori ma altrettanto sarebbe ingiusto e tirannico il volere che chi non può conseguire una perfetta dottrina, dovesse giacere nella più perfetta ignoranza…”
È partendo dalla riflessione dello stretto rapporto che intercorre tra cultura, economia e società che prende forma in lui l’idea di un sistema di istruzione orientato in senso tecnico e professionale che risponda ai bisogni dei tempi nuovi.

Il primo esperimento in tal senso é avviato nel 1845. Carlo Ignazio Giulio non era un teorico puro; non lo era in nessun ambito né scientifico, né politico. In lui era forte la tensione alla prassi; gli interessava vedere la realizzazione empirica delle idee che di volta in volta elaborava, le voleva trasformate in azioni capaci di produrre mutamenti nella vita di ogni giorno e non demandava ad altri il compito della loro realizzazione. Così lui, accademico, professore universitario, consigliere del re, progetta la prima scuola serale professionale di cui sarà anche docente di meccanica applicata alle arti (intese nel senso di professioni artigiane).
Il 3 Maggio 1845 viene fondata a Torino la prima scuola di Meccanica e di Chimica Applicata alle Arti frequentata da quattrocento tra ebanisti, fabbri, tipografi, tornitori, orologiai. Nella lezione proemiale del 15 Dicembre del 1845 egli espone a quegli insoliti studenti l’importanza dell’istruzione anche nel lavoro manuale: “Il lume della scienza deve guidare le operazioni delle arti meccaniche, ché la mera pratica non basta a reggerle e ad accrescerle”.

Il numero degli allievi continuò ad aumentare negli anni successivi così tanto che neI 1847 Carlo Ilarione Petitti scrive a Michele Erede: “L’anno scorso alle scuole serali di meccanica e chimica applicata, sovra i 600 uditori che avevano i professori Giulio e Sobrero, 70 soli erano veri operai, gli altri dilettanti. Quest’anno gli operai sono 180, oltre il doppio.…”.
Sulla scia di questa esperienza si aprono nel 1846 le scuole serali della Mendicità Istruita, destinate alle classi popolari, in cui si insegna Geometria, Ornato, Francese, Tenuta libri commerciali. Esse hanno un duplice scopo:

  • fornire mano d’opera alfabetizzata all’industria nascente;
  • curare la formazione morale di giovani appartenenti alle fasce urbane più a rischio.

L’esperienza avviata da C.I. Giulio si rivela vincente. NeI 1852 la scuola di Meccanica e Chimica applicate alle arti insieme alle scuole di Geometria applicata, dì Chimica agraria, di Agraria forestale dell’Istituto della Venaria diventano un unico Istituto tecnico superiore, con caratteristiche di tipo universitario, che costituirà negli anni a venire il nucleo del Politecnico torinese.
Centralità dell’istruzione e della ricerca, questo è il principio su cui deve fondarsi, secondo Giulio, ogni stato moderno; nella sua riflessione, però, la scuola, anche quella “popolare” non è solo destinata a produrre maestranze tecnicamente aggiornate da inserire nell’industria, ma soprattutto a fare uscire i soggetti più deboli dalla loro subalternità culturale. Uno stato liberale come sarà il Regno di Sardegna all’indomani dello Statuto Albertino (1848), è uno stato che esige che la libertà di parola, di stampa, di associazione, ed anche di religione sia esercitata dai singoli cittadini i quali, però, devono possedere gli strumenti per esprimersi in piena autonomia di giudizio. Questo è il compito di una scuola che addestra, al tempo stesso, la mano ma anche la mente.

Carlo Ignazio Giulio muore a Torino nel 1859 e non vede compiersi il progetto di unificazione dello stato italiano a cui con il suo lavoro, con le sue idee, con il suo impegno aveva contribuito. Non vede neppure il suo progetto di scuola perla nuova società svilito dalla Riforma Casati (1859).